Con i miei studenti scherzavamo spesso sul fatto che in Iran gli snob dell’ambiente letterario chiamano tutti per nome. Noi facevamo la stessa cosa con i nostri autori preferiti e quindi lui, per noi, non è mai stato Bellow, ma sempre Saul. […] Durante uno dei miei ultimi viaggi negli Stati Uniti stavo chiacchierando con qualcuno e parlavamo di Saul Bellow. A un certo punto il mio interlocutore mi ha interrotto e mi ha chiesto: “Ti va di incontrarlo?”. È venuto fuori che erano amici. Io ho risposto di no, perché penso che dai nostri autori preferiti abbiamo già avuto il meglio. E se poi non mi piaceva? E se ci fossimo ritrovati a fare una conversazione banale? […] Così, sono tornata negli Stati Uniti e ho detto a quell’amico che volevo vedere Saul, e la vigilia di Capodanno del 1996 ho preso un treno da Washington per andare a Boston a incontrare Saul Bellow. Quando l’ho chiamato per confermargli la mia visita – non me lo dimenticherò mai, è un ricordo stampato nella memoria – mi ha detto con una voce che potrei definire seducente: “Sì, sì, e mia moglie ha anche preparato un dolce”. Ho avuto l’impressione che lo dicesse perché il dolce era davvero speciale. Era un complimento a sua moglie e una specie di allusione alle cose affascinanti ed entusiasmanti che avrei trovato lì: il dolce come un simbolo.
[Azar Nafisi, La lezione di Saul Bellow, in Internazionale, nr.1106, 2015, p.100]
“Nel mondo ne muoiono più di crepacuore…”
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…eppure nessuno scende in piazza contro il crepacuore!
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